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Il pubblicano e il fariseo non rappresentano tanto due modi di pregare.
Non due spiritualità. Non due modi di stare davanti a Dio. Essi manifestano, ciascuno a suo modo,
l'attegiamento fondamentale che si puó avere davanti a Dio e dunque davanti alla vita, agli altri,
ai beni.
Il fariseo si elogia per quanto fa. Egli fa
più di quello che prescrivono i Libri sacri. E fa bene. Solo che facendo cosí pensa di 'comprarsi'
Dio, di 'guadagnarselo' dalla sua parte, quasi di pensare che Dio sia come lui se lo immagina. Il
dramma delle sue dichiarazioni raggiunge livelli insopportabili quando continua la preghiera (!!!)
disprezzando gli altri... 'ti ringrazio che non sono come gli altri...'. Questo fariseo incarna
proprio i sentimenti del figlio grande della parobola del Padre misericordioso e dei due figli (cfr
Lc 15).
Il pubblicano non é un santo. Dio non elogia le sue
malefatte. Ma si pone dinanzi a Dio con la Speranza di confidare in ció che Dio potrà fare per lui
...'abbi pietà di me peccatore'. Si pone come un vaso vuoto capace di accogliere acqua pulita, come
terra riarsa disposta a farsi rigenerare dalla pioggia tanto attesa.
Questa parabola é per me, per te, per ciacuno. Tutti chiamati ad assomigliare né al
pubblicano né al fariseo ma a Gesù. La Sua vita aperta a Dio e a tutti i figli di Dio é un invito
chiaro e forte ad aprire strade di inclusione, a non giudicare nessuno, direbbe papa Francesco 'a
morderci la lingua' quando sparliamo degli altri. Dio con noi non é stato avaro. Nel nostro nulla ci
é venuto incontro, ci ha arricchiti con la sua povertà. Zittiamo la lingua e spalanchiamo il cuore
perche, facendo la verità nella carità, viviamo la sincera fraternità e così piacere a
Dio.