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Omelia Parroco Rettore Giovedì Santo

Giovedì Santo 2013 – Omelia

Appunti / Frammenti sparsi per la Comunità



Mi sono chiesto, domandato: quali sentimenti mi abitano questa sera,  Giovedì Santo?
Quali sentimenti provo?

Provo emozione, Stupore, Seduzione: sentimenti misti ad altri  sentimenti. Provo preoccupazione, tristezza e un po’ di rabbia e indignazione per la città e per la situazione sociale che viviamo.

Rileggiamo il racconto di Giovanni (la lavanda dei piedi):

a.    come se fosse la prima volta;

b.    come se non l’avessimo mai letto in precedenza;

c.    senza entrare nelle grandi questioni di interpretazione che il testo pone.

Dalla ri-lettura della “lavanda dei piedi” di Gesù voglio ricavare alcune parole per elaborare una specie di VOCABOLARIO da portare con noi “sempre” nella vita.
Un vocabolario per la nostra spiritualità di ogni giorno.
Sono quattro le parole

1.    La prima parola: “ORA”. “Di passare da questo mondo al Padre”.
Nella vita di Gesù c’è un’ora.
Alle nozze di Cana: “Donna (a Maria) non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2, 4) (primo segno di Gesù).
Di quale ora si parla? Di quale ora si tratta?
Con Gesù è venuta l'ora di nuove relazioni con Dio, l'ora di un nuovo culto: "Viene l'ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità" (Gv 4,23).
L' "ora" è anche quella in cui si manifesta l'opera del Figlio: "In verità, in verità vi dico: viene l'ora, ed è adesso, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso" (Gv 5,25-26).
La grande ora nella storia del mondo è quella in cui il Figlio dà la vita, facendo udire la sua voce salvatrice agli uomini che sono sotto il dominio del peccato. È l'ora della redenzione.
Tutta la vita terrena di Gesù è orientata verso quest'ora. In un momento di angoscia, poco tempo prima della passione, Gesù dice: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora" (Gv 12,27).
Più che l'ora dei nemici, l'ora della passione è dunque l'ora di Cristo, l'ora del compimento della sua missione.
È dunque l'ora dell'amore estremo. Eccedente, che vuole andare oltre ogni limite. Senza misura.
Cristo ci rivela l'amore perfetto: non avrebbe potuto amarci più profondamente!
Quest'ora decisiva è insieme ora della passione e ora della glorificazione.
È l’ora della sua “CONSEGNA”!
La sua rinuncia ad ogni forma di autodifesa o di potere del suo Io. Di ogni pretesa umana.
È l’ora della sua morte violenta.
Gesù è “consapevole” della sua ora. È pronto.
Non si tira indietro (ha superato la tentazione della prova).
È la conseguenza delle sue scelte.
È segno di contraddizione!
Pensiamo alla nostra vita: ci rendiamo conto che esiste per tutti un’ “ora”?
Accade!
Direi di verità (!)  in cui tutto si fa chiaro.
Cadono le maschere di ogni tipo.
La “vita è nuda” quando accade l’ora! (l’ora della malattia, del dolore, dell’umiliazione…).

2.    La seconda parola: “LI AMÒ SINO ALLA FINE”. 
Li amò, agapáô.
Ha amato i suoi sino alla morte, perché non si può andare più in là: la morte è l’ultima testimonianza del suo amore.
Li ha amati compiutamente.
L’unilateralità dell’amore!
È il paradosso!
È l’amore come ossimoro. Tutto accade nella notte in cui veniva tradito…
Risponde al tradimento, che è la negazione assoluta dell’amore, che è la prostituzione dell’anima, con l’Amore. Lui ama!
E chi ama in quel cenacolo?
Ama Giuda, colui che tradisce Gesù per il denaro. Come si ripete oggi questo tradimento. Noi oggi per il mercato, per l’idolatria del denaro, siamo disposti a vendere tutto, corpo, anima e coscienza.
Ama Pietro colui che aveva avuto anche la responsabilità. Ad un certo Pietro rinnega il Signore e dice “quello non lo conosco”; 
Gesù ama i “Figli del tuono” Giacomo e Giovanni, la cui madre aveva detto “lascia che questi miei figli siedano alla tua destra e alla tua sinistra”, con le loro ambizioni di potere;
Gesù ama la tenerezza di Giovanni, il discepolo amato;
ama Filippo, il discepolo della trasparenza;
ama Tommaso che era sempre abitato dal dubbio, dalla ricerca, dall’inquietudine.
In quel cenacolo, Gesù ama tutti i caratteri possibili, le umanità possibili, perché Gesù sa che ogni persona è unica e irripetibile. Ama quelle persone concrete, ama le loro biografie, i loro vissuti, i loro limiti, le loro contraddizioni.
Ripensiamo, allora, al nostro modo di amare ma nella verità. Come amiamo?
Quante volte SPORCHIAMO il nostro amore (falsità, tradimenti, utilitarismi, convenienze, …).
L’amore spesso è ambiguo! Ambivalente.
Va continuamente messo sotto vigilanza critica, se vogliamo che le nostre relazioni siano autentiche.

3.    La terza parola: DEPOSE LE VESTI e prese un asciugatoio.
È il gesto dell’amante.
Si depongono ogni “sicurezza”, autodifesa e ci si apre al gesto (scelta) più “scandaloso”. Incomprensibile!
È il potere dei gesti, dei segni!
Gesù si rende conto che dopo circa tre anni di predicazione, le sue parole sono state equivocate. Fraintese. Non capite.
Un gesto rivoluzionario. Sconvolgente: il servizio è divino, il servizio non il potere.
La realizzazione è nel servizio. Si è autentici, cioè se stessi solo quando la vita è servizio!
Si vive quando si serve.
Il servizio è la modalità più bella per custodire l’altro. Solo chi serve custodisce con amore.
Con questo geto nasce una nuova antropologia.
Chi è l’uomo?
È colui che serve. L’identità della persona è il servizio.
Il servizio è il codice genetico e culturale dell’uomo.
Servire non servirsi. Quante volte diciamo di servire ma ci serviamo per affermare il nostro io, il nostro narcisismo.
Anche il servizio va “vigilato” per non sporcarlo.
Pietro di fronte al gesto di Gesù vuole sottrarsi: “Signore, tu lavi i piedi a me?”.
Ci domandiamo: che cosa c’è al fondo della resistenza di Pietro, di quel suo “mai”?
Pietro non vuole accettare che ci sia qualcuno che ami l’uomo così; esprime la reale difficoltà di ciascuno di noi a lasciarsi amare, la difficoltà di ritenere di dover qualcosa a qualcuno, a credere che Dio ami davvero tanto l’uomo.
Preferiamo metterci nella condizione di essere noi a fare qualcosa per il Signore.
Pietro fa fatica ad uscire dall’orgoglio, dalla autosufficienza, quasi invincibile per l’uomo, non riesce ad accettare  che sia il Signore a salvargli la vita, a darla per lui.

4.    La quarta parola: VI HO DATO L’ESEMPIO. Perché come ho fatto io, facciate anche voi. Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.
Gesù consegna ai suoi la scelta-sintesi della sua esistenza.
È la chiave della sua storia. è la sua coerenza.
È il mandato di Gesù alla comunità nascente.
È in gioco la nostra credibilità!
La nostra identità.
La “lavanda dei piedi” non è una opzione tra le tante, ma il criterio base dell’autenticità della sequela di Gesù. Della nostra fedeltà a Cristo. Della nostra coerenza.
In questa consegna, (mandato) si passa dal piano cristologico al piano etico, anzi al piano ecclesiologico, al piano delle relazioni tra i discepoli, che è poi il piano della relazione tra i cristiani e tutti gli uomini che il cristiano decide semplicemente di incontrare.
Da questa consegna nasce un’idea e una prassi di essere Chiesa, comunità, parrocchia.
Papa Francesco nei suoi ultimi interventi – in questi giorni sono stati pubblicati alcuni suoi appunti di un intervento tenuto durante le congregazioni pre-conclave, come un mantra ci ha detto: «La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa. Andiamo e portiamo Cristo là dove c’è peccato e c’è dolore, dove c’è indifferenza a Dio. In ogni “periferia” del nostro mondo, anche quella del pensiero e quelle in cui tutte le miserie regnano».
Nelle periferie esistenziali. Aggiunge «le parrocchie non siano chiuse». Lo dico alla mia parrocchia questa sera. Non può essere chiusa una comunità parrocchiale. Abitiamo le periferie accanto alle fragilità. Ciò è possibile solo se la lavanda dei piedi diventa la nostra identità. Dobbiamo essere, una chiesa, una parrocchia, una comunità scalza.
Si diventa Basilica Maggiore, per riprendere l’indicazione del Mercoledì delle Ceneri, se deponiamo le vesti, le vesti del nostro “io”, delle nostre presunzioni, del nostro orgoglio, di ogni piccolo e grande potere e se ci cingiamo del grembiule.
Ieri papa Francesco, inaspettatamente, affermava: «Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente». Cioè noi siamo la casa di Gesù. Allora con papa Francesco nasce una rinnovata teologia della Chiesa. Una Chiesa che deve smettere di specchiarsi o per piacersi o per deprimersi, o per piangersi addosso o per compiacere al mondo. La Chiesa non deve piacere a nessuno se non a Gesù Cristo.
Questa sera abbiamo deciso di lavare i piedi a un gruppo di disoccupati.
A 12 disoccupati. Un numero simbolico perché la realtà è molto più numerosa.
Perché questa scelta? (il lavoro è la questione centrale)
È in gioco la dignità delle persone.
È la grande sfida di questo tempo per la politica, per noi. Per le nostre coscienze. La mancanza di lavoro non deve farci dormire.
È in gioco il valore della giustizia.
E la nostra solidarietà? La nostra condivisione?

A conclusione della nostra giornata, direi ogni sera, la domanda che dobbiamo porci è:
“Oggi ho lavato i piedi a chi ho incontrato?”
Dalla risposta che daremo ogni sera si evincerà la serietà e la responsabilità del nostro essere cristiani.
Con questa sentimento vogliamo fare Pasqua.

 

 

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